La cappella fu originariamente dedicata alla Beata Vergine della Pietà, fino alla metà del seicento. Nel 1674, la cappella risulta invece con la nuova dedica a S. Antonio Abate.
La decorazione della volta, a motivi vegetali in tempera grigia e oro, così come le decorazione parietale in marmi vari (alabastro, giallo di Siena, nero venato e rosso di Francia) risalgono alla ristrutturazione della cappella negli anni 1935-37 (arch. Ranieri Maria Apolloni). La porta in noce è settecentesca. La balaustrata, identica alle altre tre cappelle laterali, in marmo bianco di Carrara e marmi policromi, è databile della metà del XVII secolo.
Nella parete di fondo, su l’altare riedificato negli anni 1935-37, l’olio su tavola Madonna in trono col Bambino tra i santi Francesco d’Assisi e Antonio di Padova, de Antonio Aquilio detto Antoniazzo Romano (seconda metà sec. XV), proveniente dalla chiesa francescana di S. Maria della Neve a Palazzolo, proprietà portoghese fino al 1915.
Sulla parete sinistra, la tavola di Marcelo Venusti, raffigurante I santi Sebastiano, Antonio Abate e Vincenzo di Saragozza, (c. 1590). Nella Visita Pastorale del 1627, la tavola risulta sul primo altare a destra. L’edizioni del Baglione (1643) e del Titi (1673) ricordano il dipinto sull’altare centrale della cappella.
Sulla parete destra, Memoria funebre, in marmo bianco con lumeggiature d’oro (datata 1846), di Emanuele Rodrigues Gameiro Pessoa, visconte di Itabaina, ministro del Brasile presso il Regno delle Due Sicilie, morto a Napoli il 22.1.1846. Sopra, Pietà, probabilmente una copia settecentesca di un dipinto attribuito dal Vasari a Pellegrino Aretusi da Modena (sec. XVI).
Nel pavimento lapide funebre (databile del 1872) della Principessa Anna di Braganza, figlia di Giovanni VI, morta a Roma nel 1857.
La cappella fu costruita nel 1657 dalla Congregazione della Nazione Portoghese. La dedicazione ricorda l’oratorio adiacente il primitivo Ospedale nel rione Monti, eretto nel Trecento dalla gentildonna D. Guiomar. In un breve del 1754, la cappella risulta anche consacrata alla Natività di Nostro Signore. In seguita è stata anche la dedica al SS.mo Sacramento, a cui alludono i calici eucaristici sopra le cornici dei quadri laterali.
Dal 1777 al 1783, fu ridecorata da Francesco Navone per ricevere la sepoltura del portoghese Giacinto de Oliveira d’Abreu Lima. Nel 1786, fu consolidata ai problemi statici della cripta ricavata sotto il pavimento che è stato rifatto di nuovo in 1977, con marmi originali e l’antica disposizione.
Degli intervento tardo settecenteschi, è presente la decorazione parietale in marmi vari: serpentino, rosso di Francia e verde antico, le due coppie di finte porte a doppio battente, la coppia di abachi in marmo serpentino e giallo di Siena, la decorazione a motivi floreali in stucco dorato della volta, l’altare in marmi vari e bronzo dorato, lo sportello del tabernacolo in rame sbalzato e dorato e perfino l’epigrafe in marmo del committente, composta di una parte su la parete sinistra e l’altra sulla parete destra.
La cappella è ornata di un ciclo di tre dipinti, opere firmate di Antonio Concioli. Sulla parete sinistra l’olio Adorazione dei Magi, sull’altare Natività (datato 1782), sulla parete destra Riposo durante la fuga in Egitto (datato 1782).
Nel 1627, la cappella era dedicata a Santa Elisabetta di Portogallo e nel 1686 alla Beata Vergine della Pietà. Nel 1750, l’ambasciatore portoghese presso la Santa Sede, Manuel Pereira Sampaio muore nominando erede universale questa cappella che decide di consacrare alla Immacolata Concezione con un progetto di Luigi Vanvitelli. Dopo diversi cambiamenti e l’intervento del Cardinale Corsini, l’esecuzione è affidata all’opera di diversi artisti già contattati dal Sampaio e dal cardinale per la realizzazione di altre opere. Il capo Mastro Giovanni Carlo Bossi aveva effettivamente già lavorato nella cappella di S. Rocco, la cui costruzione, a Roma, era stata realizzata per essere benedetta dal Papa, e successivamente smontata, trasferita e rimontata a Lisbona, nella chiesa omonima.
Le opere furono realizzate dal 1754 al 1756 sotto la supervisione di Carlo Murena, con le colonne scanalate in marmo orientale fior di pesco dallo scalpellino Francesco Cerruti e la mensa di altare a sarcofago di Alberto Fortini.
Sulla trabeazione, le due statue attribuite a Gaspare Sibila, raffigurano la Carità (a sinistra) e la Purezza (a destra). La pala d’altare, raffigurante l’ “Immacolata Concezione” (1754-56) è opera di Giacomo Zoboli.
Sulla parete destra il monumento funebre di Manuel Pereira de Sampaio, eseguito da Filippo della Valle celebra il Sampaio ritraendolo nei suoi due aspetti: di uomo (il ritratto, i libri, il sarcofago), e di diplomatico (l’emblema di Mercurio, esaltato dalla Fama). Sulla parete sinistra, sotto lo stemma araldico, il monumento commemorativo onorario, sempre di Vanvitelli e della Valle. L’impresa nel medaglione, sostenuta dalla Fama, rappresentata il simbolo di Mercurio e, per estensione, degli ambasciatori. Stretto tra le mani il motto “FIDE ET CONSILIO”, allude alla lealtà. Sul pavimento, l’iscrizione funebre realizzata dal Cerruti e dal Fortini.
La cappella, come quella antistante, era chiusa originariamente da una balaustrata marmorea venduta nel 1807 durante l’occupazione napoleonica. Nella seconda metà del ‘800, la volta fu nuovamente decorata su disegno di Francesco Vespignani realizzato da Giuliano Corsini e Antonio Bevilacqua. Allo stesso periodo risalgono le vetrate di Antonio Moroni.
La cappella si presenta oggi nell’assetto tardo-secentesco(1687-1694) secondo progetto di Martino Longhi il Giovane, completato da Christophoro Schor.
La volta in stucco dipinto e dorato fu realizzata da Pompeo Gentili. Gli angeli sul timpano reggono un libro e un giglio, emblemi antoniani, e sono d’ignoto scultore romano. Sull’altare maggiore, “Vergine che porge il Bambino a Sant’Antonio” di Giacinto Calandrucci, dal 1692. Tutte le decorazioni marmoree furono terminate nel 1774 da Francesco Ferrari su disegno di Francesco Navone. Sulle pareti, sono presenti moltissime varietà di marmo: bardiglio, diaspro di Sicilia, giallo di Siena, verde antico, breccetta, fior di pesco, giallo antico e alabastro orientale. Sulla balaustra il portasanta, giallo di Siena e verde antico. Dello stesso periodo le gelosie dei coretti e lo sportello a doppio battente, sono decorati con una corona con un ramo di palma e un giglio, emblemi di Antonio di Padova e di Elisabetta di Portogallo. La struttura dell’altare maggiore, in rosso di francia, alabastro e broccatello, e il tabernacolo in marmi vari e bronzo dorato, furono disegnati dallo Schor. Il paliotto d’altare in legno intagliato e dorato del sec. XIX, con motivi mariani (la doppia M, la Domus Aurea, la Turris Davidica) e lo stemma reale portoghese.
Lateralmente, sotto le vetrate disegnate da Francesco Vespignani e eseguite da Antonio Moroni nel 1873, due dipinti rappresentano due Beate portoghesi che hanno vissuto vicende simili: la stirpe reale, il rifiuto di matrimoni blasonati dettati dalla ragion di Stato, la vestizione della tonaca. A sinistra, “Le Beate Teresa e Sancia di Portogallo” di Giovanni Odazzi (anteriore al 1725) e a destra “La Beata Giovanna di Portogallo rifiuta le nozze regali”, di Michelangelo Cerruti (circa 1730). Applicati al settore concavo delle pareti, la coppia di candelabri a tre braccia probabilmente del XIX secolo. Sotto, la coppia di consoli Luigi XV, con l’emblema antoniano del ramo di giglio, attestano la loro specifica destinazione ad arredo di questa chiesa.
Dopo essere stata dedicata a S. Girolamo e successivamente alla Beata Vergine della Pietà, la cappella è stata consacrata a Santa Elisabetta del Portogallo, nella seconda metà del XVII scolo. Elisabetta nata nel 1271, da Pietro III d’Aragona, sposata a 12 anni con il re Dionigi di Portogallo, vedova dal 1325, si fece terziaria francescana e fondò il Convento delle Clarisse di Coimbra. Fu canonizzata da Urbano VIII, nel 1625. Il dipinto che si trova attualmente sull’altare, opera di Luigi Agricola e liberamente ispirato ad un modello precedente di Giuseppe Cades, rappresenta “Santa Elisabetta, regina di Portogallo, nell’atto di far riconciliare lo sposo col figlio”.
L’altare attuale con i due coretti laterali, è il risultato dell’opera di rivestimento in marmo iniziata nel 1789 e terminata nel 1801, su disegno di Francesco Navone ed esecuzione di Magnani e di Romagnoli. Sul timpano dell’edicola, le figure allegoriche della Pace, a sinistra, e della Carità, a destra, entrambe le virtù che si riferiscono a Santa Elisabetta, opera attribuita a Giovanni Grossi e Giacomo Galli. Dallo stesso periodo, la mensa d’altare con sarcofago in marmo verde d’Egitto e ottone.
La volta fu decorata nella seconda metà del sec. XIX da Giuliano Corsini e Andrea Bevilacqua. Le vetrate di Antonio Moroni (fine XIX sec.), rappresentano Santa Maria Maddalena e la regina Santa Elisabetta. Le coppie di porte in legno di noce, presentano due battenti in metallo dorato degli orefici Tommaso e Giuseppe Zappati.
La cappella è citata per la prima volta nel 1679, come dedicata a S. Giuseppe. In 1686, invece è ricordata già così come oggi ancora la si vede, decorata con Storie del Battista e il patronato del ricco profumiere Giovanni Battista Cimini, fornitore del Papa, che abitava una casa adiacente alla chiesa. Morto il 7 ottobre 1682, Caterina Raimondi, sua moglie e esecutrice testamentaria, si è impegnata a ornare la cappella entro dieci anni.
L’esecuzione dei rivestimenti parietali, del pavimento con il stemma Cimini-Raimondi e della balaustrata in marmi vari, è stato affidata al maestro scalpellino Pietro Antonio Ripoli su disegno dell’architetto Cesare Crovari, anche lui autore dell’altare in marmi e stucco dorato (1682-86). Le lunette con i suoi pennacchi sono affrescati da Giacinto Calandrucci e narrano la Storie del Battista: su lato sinistro la Decollazione di San Giovanni Battista, su lato destro la Sacra Famiglia e San Giovannino. La volta, nel 1736, rappresentava il battesimo di N.S. Ridecorata nel sec.XIX, presenta ancora oggi L’Eterno Padre, un affresco del Calandrucci.
Sulla parete sinistra, Natività di San Giovanni Battista (1682-83), di François Nicolas de Bar; il busto di G. B. Cimini, attribuito a Andrea Fucigna; e la sua epigrafe sepolcrale (1682-86). La porta, in legno di noce, è della fine del sec. XVII. Nella parete di fondo, Battesimo di Cristo, di Giacinto Calandrucci. Sopra, la vetrata (1869-70), è di Antonio Moroni. Nella parete destra, Predicazione di San Giovanni Battista, attribuito a Francesco Graziani detto Ciccio Napoletano; busto de Caterina Raimondi attribuito a Andrea Fucigna; la sua epigrafe sepolcrale (datata 1717); e Memoria funebre di Antonio Guglielmo de Figueiredo, in marmo bianco, (datata 1868).
Si sa che fin dai primi del ‘500 nella chiesa era vivo il culto di S. Caterina d’Alessandria, introdotto da uno dei cardinali protettori e mecenati, Jorge da Costa. Inoltre, nel corso del XVI secolo in Portogallo si assiste al rinnovato interesse per la vita leggendaria della martire Irene che compare nei breviari di Braga nel 1494 e di Évora nel 1548, mentre il culto di santa Engrazia viene restaurato nel 1580. Nella Visita Pastorale del 1627, l’altare risulta dedicato a S. Antonio Abate. Il cambio di intestazione avvenne tra il 1627 e il 1686.
Negli anni 1934-37 viene rifatta la volta e la parte alta lunettata delle pareti, le cui originali decorazioni furono sostituite da ornati dipinti con motivi vegetali e figurine angeliche. L’altare, invece, doveva essere stato rimaneggiato in precedenza.
Sulla parete sinistra, Memoria funebre dell’ambasciatore Giovanni Pietro Migueis de Carvalho, in alabastro orientale, marmo giallo antico (datata 1853). De Carvalho era genero del pittore Domingos António de Sequeira, anch’egli sepolto in chiesa.
Sulla parete di fondo, l’altare, in marmi vari, è risultato di un rifacimento, forse ottocentesco. Rispetto all’altare tardo-seiscentesco, riprodotto in una incisione del De Rossi (1721), risulta cambiato in terminazione: l’originario timpano centinato, con capitelli corinzi e grandi figure sedute ai lati, è stato sostituito da un semplice timpano in marmo bianco, sostenuto da piccoli capitelli ionici. Sopra, l’olio su tela Santa Caterina d’Alessandria tra le sante Engrazia e Irene, forse un lavoro giovanile di Giovanni Battista Maino, di primo Seicento.
Sulla parete destra, Stele funeraria di Alessandro de Sousa Holstein (1806) di Antonio Canova. Il monumento ricorda il conte Alexandre de Sousa Holstein, ambasciatore presso la Santa Sede, morto a Roma nel 1803.